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Il problema della demenza senile

Nel 1970 le persone di età superiore ai 60 anni erano 291

L'anno 2000 vedrà un notevole cambiamento nella struttura per classi di età della popolazione mondiale. Nel 1970 le persone di età superiore ai 60 anni erano 291 milioni e, tra queste, 26 milioni avevano oltre 80 anni. Le previsioni per la fine del secolo sono che queste due classi d'età avranno 600 e 58 milioni di persone rispettivamente, con il 20% o più di ultraottantenni affetti da demenza. Di coloro che ne soffrono oggi, il 55% è affetto da demenza senile tipo Alzheimer, il 15% da demenza multiinfartuale, il 22% da forme miste; il resto soffre di varie altre sindromi, in alcuni casi potenzialmente reversibili, che sono meno comuni ma non meno importanti.
Il cambiamento demografico avverrà in un periodo abbastanza breve, e adeguarsi alle nuove condizioni risulterà difficile a causa di questa rapidità. Il bisogno di strutture adeguate continuerà a crescere, non solo a causa del costante aumento degli ultraottantenni, che sono i principali fruitori di questi servizi, ma anche per la prolungata sopravvivenza di coloro che sono già attualmente assistiti2. Bergman e coli, hanno dimostrato che intense cure sociali, nella forma del "day hospital", non risolveranno il problema dell'aumentato bisogno di letti3. La questione sarà ulteriormente complicata dal fatto che le aspettative dei "giovani" anziani, e dei parenti che si occupano di loro, stanno mutando dopo aver sperimentato per anni l'assistenza fornita dallo Health Service. L'argomento centrale della conferenza sui progressi della ricerca sulla demenza, che ha avuto luogo recentemente presso la Charing Cross Hospital Medical School di Londra riguardava la demenza senile tipo Alzheimer. Le caratteristiche cliniche di questa patologia comprendono lento regredire della memoria e delle facoltà intellettive, perdita di interesse, mancanza di scopi, insensibilità emotiva e perdita delle capacità intuitive. La demenza senile tipo Alzheimer esordisce spesso con la depressione, ed è accompagnata da una serie di deficit cognitivi che includono disfasia, discalculia, deficit visuospaziali, e difficoltà nella formulazione di pensieri astratti e nell'orientamento. Questi disordini generalizzati della funzionalità corticale si riflettono in alterazioni patologiche comprendenti lesioni non solo nel tessuto cerebrale corticale, ma anche nei nuclei sottocorticali, i cui corpi cellulari hanno propagazioni assoniche nella corteccia.
Gli aspetti neurologici della demenza senile tipo Alzheimer hanno incominciato a interessare il mondo scientifico con le ricerche sul sistema colinergico, i cui neuroni si^ originano nel nucleo basale4. È stato dimostrato che gli enzimi caratteristici di questo sistema (colina acetiltransferasi e acetilcolinesterasi) hanno attività ridotta nei pazienti con demenza e la riduzione è ben correlata con la gravita della malattia. Inoltre, è stato dimostrato che il contenuto neuronaie in questi nuclei è ridotto, ed è stata identificata la presenza di degenerazione neurofibrillare. Da allora, sono stati presi in considerazione altri nuclei sottocorticali con i loro sistemi di trasmettitori, tra cui il locus ceruleus, noradrenergico, il nucleo di raphe, serotoninergico, e la substantia nigra, che è dopaminergica. Tuttavia una correlazione precisa tra alterazioni di alcuni di questi sistemi e la demenza senile tipo Alzheimer è ancora incerta, poiché questi nuclei hanno un ruolo importante anche nei processi di invecchiamento di pazienti che non mostrano i sintomi della demenza. Comunque, oltre il sistema colinergico, anche il sistema noradrenergico sembra con tutta probabilità interessato: i segni di disfunzione in questo sistema sono correlati sia con il grado della demenza, che con suoi indici patologici, come il conteggio senile delle placche.
Non sono note le cause per cui questi quattro sistemi risultano specificamente alterati nella demenza senile tipo Alzheimer. Hanno certamente caratteristiche simili: possiedono estesi corpi cellulari e sono tutti amielinati; inoltre tutti possiedono lunghe ma caratteristiche vie di proiezione. Questi elementi comuni possono forse presentare una comune vulnerabilità. Le somiglianze neurochimiche e neurofisiologiche tra pazienti con sindrome di Down di oltre 40 anni e pazienti con la malattia di Alzheimer suggeriscono una possibile base genetica comune, sebbene non siano stati trovati legami di questo tipo tra le due affezioni.
Ci sono opinioni controverse sul problema se le alterazioni corticali siano direttamente conseguenti, o piuttosto secondarie, alle modificazioni subcorticali. Di certo si riscontra una riduzione nel livello di somatostatina,

un trasmettitore intracorticale, ma questo non è specifico della demenza senile tipo Alzheimer. Gli studi effettuati su animali dimostrano che lesioni nel nucleo basale provocano cambiamenti secondari nei neuroni corticali. L'attività dell'acetilcolinesterasi nella corteccia è ridotta e questo è correlato strettamente con le dimensioni della lesione, mentre altri sistemi di trasmettitori, come la noradrenalina e la 5idrossitriptamina, non vengono influenzati.
La scoperta di anomalie specifiche del sistema colinergico in pazienti con demenza senile tipo Alzheimer ha inizialmente fatto sperare nella messa a punto di un trattamento teso a far regredire la malattia o a bloccarne l'evoluzione. Finora, tuttavia, gli studi a breve termine circa l'uso terapeutico dei precursori dell'acetilcolina sono stati deludenti. Il dottor R. Levy ha comunicato i risultati preliminari di un trial in doppio cieco sul trattamento con lecitina, somministrata per sei mesi, con valutazione del paziente dopo sei mesi e un anno. I primi dati del gruppo di trattamento, che riportavano miglioramenti in certe facoltà cognitive e continuo deterioramento in altre, riflettono le complessità d'interpretazione dei dati biochimici. Inoltre, in questi studi il clinico non può avere la certezza di trattare un gruppo omogeneo di pazienti affetti da demenza senile tipo Alzheimer. La distinzione tra questo tipo di demenza, la demenza multiinfartuale o le forme miste ha nel passato fatto affidamento in larga misura sulla storia clinica, sull'esame fisico, e su alcune tabelle di valutazione come il punteggio ischemico di Hachinski5, una tabella predittiva basata sull'evidenza clinica dell'ischemia. I pazienti con demenza multiinfartuale non mostrano danni in nessuno dei sistemi di trasmettitori, che si è invece scoperto essere alterati nella demenza di Alzheimer. La tomografia computerizzata permette di distinguere tra le due affezioni: essa dimostra che i pazienti con demenza di Alzheimer hanno una dilatazione ventricolare più apprezzabile rispetto a quelli con demenza multiinfartuale; questi ultimi presentano con più frequenza alterazioni locali, particolarmente nelle regioni temporali.
Le due affezioni possono essere distinte anche misurando il consumo di ossigeno mediante la tomografia a emissione di positroni. L'utilizzazione dell'ossigeno è ridotta in entrambe, ma è molto più generalizzata nella demenza di Alzheimer, se confrontata con quella a chiazze propria della demenza multiinfartuale. Queste caratteristiche sono molto più pronunciate nella sostanza grigia. Nella demenza senile tipo Alzheimer la ridotta utilizzazione è dovuta a una diminuita richiesta di ossigeno da parte di neuroni colpiti dalla malattia, mentre in quella multiinfartuale neuroni relativamente sani sono carenti di ossigeno a causa del ridotto apporto di sangue. Più recentemente si è utilizzata l'elaborazione di immagini con la tecnica della risonanza magnetica nucleare, che sfrutta il comportamento dei protoni in presenza di un campo magnetico. Utilizzando la densità dei protoni (una misura della concentrazione dei protoni nell'acqua libera e nei lipidi presenti nei tessuti) e il tempo di rilassamento reticolare dello spin (una misura del grado di libertà di questi protoni), si possono elaborare immagini del cervello. Rilevando questi due dati nella sostanza bianca, dati presenti anche in mancanza di lesioni identificabili, si sono ottenuti risultati rispettivamente diversi nei pazienti con demenza senile di Alzheimer, in quelli con demenza multiinfartuale, negli anziani non dementi. Il tempo di rilassamento reticolare dello spin si correla anche con la gravita della demenza. La possibilità di una diagnosi precisa che non sia quella autoptica sarà di aiuto nella valutazione clinica dei pazienti per futuri trattamenti terapeutici.
Ciononostante, una soluzione biologica della demenza è ancora molto lontana. Non dobbiamo però perdere di vista il problema della grande quantità di anziani dementi che non ne beneficeranno. L'attuale e pressante bisogno resta quello di fornire loro strutture adeguate. Per dirla con le parole di Jolley e Arie: "la cura dell'anziano affetto da disordini mentali è probabilmente la più grossa sfida, in paesi come il nostro, ai servizi di assistenza sanitaria per il prossimo futuro.


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