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IL VACCINO, LA VERA ARMA CONTRO TUTTE LE EPATITI

Le forme vitali rispondono poco al trattamento farmacologico

In Europa sono circa due milioni i portatori del virus dell’epatite C. Presto disponibile in Italia il vaccino contro l’epatite A. Ancora avvolta nel mistero l’epatite X.

ROMA - La strada per battere i vari tipi di epatite virale e le loro complicazioni è rappresentata dal vaccino. Questo il parere degli esperti e degli scienziati convenuti a Roma presso l’Istituto superiore di Sanità in occasione della consegna del V premio Chitone.

Come ha confermato Sheila Sherlock, presidente della Royal Free Hospital School of Medicine dell’Università di Londra e vincitrice del premio, “è ormai dimostrata l’esistenza di un nesso casuale sempre più evidente tra l’epatite di tipo C (HCV) ed il cancro al fegato”. “Oggi è possibile affermare - continua la Sherlock - che l’epatite C è una delle cause principali, se non la più importante, che favoriscono l’insorgere di patologie oncologiche epatiche”. La cirrosi che consegue all’infezione virale di tipo C provoca la formazione di grossi noduli che a loro volta evolvono in formazioni tumorali. “Ciò non significa - precisa Mario Pizzetto, della cattedra di gastroenterologia dell’Università di Torino - che tutti coloro che hanno contatto l’HCV e sviluppato la cirrosi siano futuri pazienti oncologici”. La cirrosi in genere si sviluppa in età già avanzata e nella stragrande maggioranza dei casi non ha il tempo materiale per provocare l’insorgenza del cancro. In altre parole, il nesso diretto casuale tra HCV e cancro al fegato sussiste, ma solo in linea teorica, mentre casi reali sono piuttosto rari. Tuttavia, l’allungarsi della vita media ed il progresso delle terapie mediche nelle patologie del fegato possono far prefigurare il rischio di un aumento dei casi di tumore provocati dall’HCV e pertanto lo sviluppo di un vaccino in grado di prevenire l’infezione virale sarebbe prezioso. I dati epidemiologici disponibili sono comunque allarmanti; nella sola Europa vi sono almeno due milioni di portatori di virus dell’epatite C, responsabile di epatiti croniche e, appunto, di cirrosi. Per queste patologie il trattamento farmacologico è tuttora problematico: le “vere” epatiti croniche autoimmuni per esempio, rispondono bene alla terapia corticosteroide che invece è scarsamente efficace nella malattie relazionate all’HCV. Anche l’interferone nel trattamento di queste forme patologiche ha dato risultati controversi e neppure dosi e durata sono stati definiti con precisione. Più favorevole invece la situazione per quanto riguarda l’epatite B. Con 300 milioni di portatori del mondo è tra le principali cause di malattie croniche e di cancro al fegato; il vero vantaggio nei confronti di questa patologia è dato dall’esistenza del vaccino disponibile almeno nei Paesi sviluppati. In Italia il vaccino viene somministrato a tutti i nuovi nati e ai non vaccinati al compimento del 12° anno. In Italia è anche in arrivo il vaccino per l’epatite A. Come ha annunciato Paolo Verani, che dirige il laboratorio di virologia dell’Istituto superiore di Sanità, la pratica per la registrazione è alle battute conclusive e, una volta superata questa “boa”, sarà l’Istituto stesso a sviluppare un programma di vaccinazioni mirato. Pochi problemi derivanti dall’epatite D (Delta virus), descritto nel 1977 da Mario Rizzetto, sul quale si è rilevata efficace l’azione preventiva dei vaccini contro l’epatite B. Diverso il percorso che riguarda l’epatite E e l’epatite X. La prima assomiglia alla A ed è presente soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, anche se un’aumentata diffusione si sta registrando in Europa e in America. L’epatite E è provocata da un virus già isolato ma per il quale non esiste ancora un metodo di identificazione affidabile e da poter utilizzare di routine. L’epatite X è ancora avvolta nel mistero: pare che provochi il 18% dei casi sporadici di epatite, alcuni casi di epatite fulminante ed è presente in casi dove l’anemia aplastica è associata con epatite. L’identificazione dell’agente virale appare ancora lontana. “E’ quindi facile comprendere - sostiene Luigi Frati, preside della facoltà di medicina La Sapienza di Roma - quanto importante sia moltiplicare gli sforzi nella ricerca”. “La ricerca scientifica - ribadisce Leonardo Santi, direttore dell’Istituto per la ricerca sul cancro di Genova - deve essere supportata da un costante impegno, anche economico, se vuole portare a concreti risultati positivi”. Un impegno che, a livello industriale, è sopportabile quasi solo da grandi aziende multinazionali, quali per esempio la Shering-Plough che, come ha sottolineato M. Bryce, presidente del gruppo americano, nel 1993 ha investito in ricerca quasi 600 milioni di dollari.

( C.S. )

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