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FARMACI ANTITUBERCOLARI

CON L'AIDS, PURTROPPO, SI TORNA A PARLARE DI TUBERCOLOSI

Sebbene per anni non abbia più rappresentato un problema di primo piano, la tubercolosi è recentemente tornata a far parlare di sè poiché la malattia colpisce frequentemente i pazienti affetti da AIDS. Nella tubercolosi non complicata, i più recenti orientamenti per il trattamento della malattia sono diretti verso un più breve periodo di terapia ed un maggiore uso di pirazinamide.
Lo schema attualmente preferito da molti clinici per il trattamento iniziale della tubercolosi polmonare ed extrapolmonare non complicata è costituito da isoniazide e rifampi-cina tutti i giorni per 6 mesi, associando la pirazinamide nei primi due mesi. In alternativa, isoniazide più rifampicina senza pirazinamide, possono essere somministrate per nove mesi. Una terapia bisettimanale controllata con isoniazide e rifampicina per nove mesi {dopo molte settimane di somministrazione giornaliera) è altrettanto efficace e può migliorare la frequenza di guarigioni in pazienti a bassa "compliance". Per la tubercolosi disseminata, la meningite tubercolare e la tubercolosi nei pazienti con AIDS, sono abitualmente prescritti isoniazide, rifampicina ed etambutolo (o pirazinamide), almeno inizialmente, e la durata del trattamento supera talvolta i nove mesi. I tre farmaci sono spesso impiegati per la terapia iniziale dei pazienti noti per essere stati esposti a microorganismi farmaco-resistenti e di quelli che sono emigrati di recente da zone del globo dove è frequente la resistenza ai farmaci. Quando vengono usati isoniazide, rifampicina ed etambutolo, la pirazinamide viene spesso aggiunta durante i primi due mesi. Un aumento dell'attività amino-transferasica serica è osservabile nel 10-20 % dei pazienti in terapia con isoniazide, ma spesso tali valori ritornano nella norma anche se si prosegue la somministrazione del farmaco. Si valuta che il rischio di sviluppare un'epatite nel corso del trattamento con isoniazide sia inferiore a :
• 1 per mille nei pazienti di età inferiore ai 20 anni (sebbene nei bambini possa verifìcarsi un'epatite associata all'isoniazide);
• 3 per mille nei pazienti tra 20 e 34 anni,
• 12 per mille per quelli tra 35 e 49 anni;
• 23 per mille per i pazienti tra 50 e 64 anni;
• 8 per mille per quelli di età superiore a 65 anni.
Un più recente studio, tuttavia, condotto su un più ampio numero di pazienti anziani, ha stimato un rischio del 45 per mille nei pazienti di età superiore a 65 anni. Un grave danno epatico dovuto all'isoniazide è assai più frequente nei pazienti di 35 anni ed oltre, specialmente in quelli che fanno uso quotidiano di alcool. Si raccomanda la sospensione immediata del farmaco se i pazienti sviluppano segni di epatite o se, in generale, le aminotransferasi aumentano a più di tre volte il limite superiore dei valori normali.

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