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LEISHMANIOSI VISCERALE

TRE LE OPZIONI TERAPEUTICHE PROPOSTE

In risposta ad un aumento dei casi di infezione nei paesi mediterranei da Roma nuove proposte trattamentali.
Si chiama ambisone (da amfote-ricina liposomica) la più nuova ed efficace risposta della ricerca in farmacologia alla leishmaniosi viscerale mediterranea. Questa la conclusione raggiunta da un gruppo di esperti in malattie infettive, sia italiani sia stranieri, che si sono dati di recente appuntamento a Roma per una aggiornata messa a punto della terapia di questa rara forma di infezione.
Rara, a dire il vero, in passato mentre negli ultimi anni, secondo quanto afferma il dottor Luigi Gradoni dell’Istituto Superiore di Sanità, il numero oltrechè la varietà dei casi di leismaniosi ha registrato un sensibile incremento in tutti i paesi bagnati “mare nostrum”. Inevitabile allora il riaccendersi dell’interesse della medicina nei confronti della malattia e del suo trattamento, tanto più che si stanno moltiplicando oggi i segnali di sfavorevoli fenomeni di resistenza del parassita in causa ai farmaci finora in uso. Ecco dunque le guide che attualmente si guadagnano l’unanime consenso degli specialisti e che si concretizzano in tre specifici schemi di terapia (studiati per i pazienti dotati di difese immunologiche normali). Il primo prevede la somministrazione di antimoniali pentavalenti sotto forma di soluzione di sodio stibgluconato o soluzione di meglumine antimoniata. La dose di antimonio raccomandata è di 20 mg/kg per 20-28 giorni. Il secondo protocollo aggiunge invece agli antimoniali (ancora alla dose di 20 mg/kg) l’allupurinolo (15 mg/kg) per un periodo di tempo analogo a quello dello schema precedente. Il terzo protocollo utilizza infine l’ambisone alla posologia 3 mg/kg per 5 giorni consecutivi,e la stessa dose viene praticata poi, dopo un periodo di intervallo, in decima giornata dall’avvio della terapia. Dell’ambisone va in particolare segnalato, oltre all’efficacia, anche il buon profilo di tollerabilità. Un dato questo, frutto di una sperimentazione clinica multicentrica europea, che si traduce in una maggior sicurezza d’uso del nuovo farmaco rispetto agli interventi a base di antimonio. Accanto ai temi, urgenti, del trattamento sono stati inoltre affrontati a Roma ulteriori aspetti di pari importanza per la definizione del problema leishmaniosi: l’epidemiologia dell’infezione leio ad esempio, la storia naturale del protozoo che trasmette la malattia ed il suo ciclo vitale all’interno dell’organismo ospite, i meccanismi patogenetici da cui prende origine il quadro sintomatologico, le modalità di classificazione delle varie forme cliniche. E a quest’ultimo proposito va subito detto che non esiste ancora accordo su alcuna proposta di inquadramento generale destinato a far ordine tra le differenti specie di Leishmanie. L’unica classificazione accettabile per il momento si basa su criteri clinici e geografici. Essa prevede la distinzione tra la leishmaniosi viscerale, caratterizzata dalla compromissione di diversi organi interni dell’individuo contagiato, la leismaniosi cutanea, che si manifesta con lesioni ulcerose della pelle, e infine la leishmaniosi mucocutanea, che provoca lesioni distruttive nasofaringee a distanza di mesi o anni da iniziali alterazioni cutanee. Quali sono di preciso i segni patognomonici della leishmaniosi viscerale, che è poi quella di maggior impegno clinico? Febbre a esordio generalmente insidioso, pallore, perdita di peso fino all’emaciazione, epatosplenomegalia pronunciata, dolore addominale, edemi periferici: sono queste le manifestazioni più tipiche in grado di indirizzare alla corretta diagnosi. Il laboratorio può poi dimostrare un’ipoalbuminemia di grado anche marcato, una pancitopenia e l’alterazione dell’assetto delle gammaglobuline. Se il disordine del sistema immunitario è marcato, si possono poi osservare gravi infezioni intercorrenti come polmoniti, gastroenteriti o infezioni associate come la tubercolosi. Il quadro di malattia è insomma severo e ciò è messo bene in evidenza anche dal tasso di mortalità relativo ai pazienti non trattati: esso raggiunge addirittura quota 90%. Bisogna infine considerare che non esiste ancora un vaccino contro la malattia.

( R.G. )

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